Sappiamo tutti che fare birra in casa, in Italia, è legale. Lo è da diversi anni ormai, fintanto che la si produca per consumo personale o per farla assaggiare, gratuitamente, ad amici e parenti. Sembra una cosa ovvia, ma in alcuni paesi del mondo (come l’America) la legalizzazione dell’homebrewing è stata una conquista piuttosto recente. In altri casi, come in Germania, ci si è arrivati tramite una rottura improvvisa, di fronte alla quale l’ufficio delle dogane non ha potuto far altro che scendere a patti.
Un simpatico personaggio sdoganò la Germania
Partiamo dalla situazione in Germania, così come me l’ha raccontata l’homebrewer Volker R. Quante incontrato a Varsavia in occasione della prima European Homebrewers Conference. In Germania vendere kit per fare birra in casa era illegale fino agli anni ’80. Si potevano commerciare gli ingredienti base (orzo, luppolo, lievito), ma non si poteva in alcun modo accennare a come produrre birra partendo da questi ingredienti. Il 2 febbraio del 1982 un curioso personaggio di nome Jean Pütz raccontò per la prima volta in tv come produrre birra in casa in una della puntate della sua trasmissione HobbyThek. Teoricamente avrebbe dovuto essere arrestato all’istante, ma la trasmissione attirò un interesse di pubblico tale da indurre l’ufficio delle dogane a scendere a un compromesso: fu così deciso di legalizzare la produzione di birra in casa per uso personale, purché questa rimanesse sotto i 200 litri all’anno.
L’aspetto curioso è che tutt’oggi gli uffici della dogana richiedono a ciascun homebrewer la compilazione di un modulo (disponibile sul loro sito) dove l’homebrewer è tenuto a dichiarare, all’inizio di ogni anno, il quantitativo di birra che andrà a produrre e il luogo di produzione. Per ogni litro eccedente i 200 litri dovrà versare una tassa all’ufficio delle dogane. Indovinate un po’? Sembra che nessun homebrewer tedesco abbia mai prodotto (ufficialmente) più di 200 litri di birra all’anno :) .
USA: più di trenta anni per legalizzare l’homebrewing in tutti gli stati
Passiamo all’America, dove nel 1980 è nata la craft beer revolution ispirata proprio dal movimento homebrewing. Forse non tutti lo sanno, ma in America fino a un paio di anni fa (era il 2013 per essere esatti) fare birra in casa era ancora illegale in ben due stati (Mississippi e Alabama). Tutto iniziò nel 1919, quando con il proibizionismo fu vietata le produzione di prodotti alcolici a livello nazionale e di conseguenza anche la produzione di birra. Molti birrifici chiusero i battenti ma alcuni, in particolar modo quelli più grandi, rimasero aperti e si diedero alla produzione di lattine di estratto di malto d’orzo, vendute ufficialmente per produrre prodotti da forno. Ovviamente in molti acquistavano questo estratto per produrre birre in casa, con risultati spesso deludenti in termini organolettici ma soddisfacenti per ovviare all’assenza di alcol dovuta al proibizionismo.
Nel 1933 il proibizionismo ebbe termine, ma i legislatori si dimenticarono di modificare la legge che vietava la produzione di birra in casa. L’homebrewing di fatto rimase illegale, ma con la fine del proibizionismo i controlli si fecero più laschi e la produzione casalinga riprese. Più di quarant’anni passarono fino a quando, nel 1979, il presidente Jimmy Carter legalizzò l’homebrewing a livello nazionale. Ogni stato aveva però la libertà di applicare o meno la legalizzazione a livello federale. Ne derivò una legalizzazione a singhiozzo che andò avanti, appunto, fino al 2013, quando Alabama e Mississippi completarono la rosa degli stati. Anche in America esiste un limite sulla produzione casalinga: 100 galloni (400 litri) per homebrewer all’anno. Un limite più che discreto per un consumo personale!
E in Italia?
L’articolo 34 (Testo unico delle accise), comma 3 del Decreto Legislativo n. 504 del 26/10/95, regola la produzione casalinga di birra in Italia, senza imporre particolari limitazioni o vincoli se non, appunto, il divieto di vendita.
È esente da accisa la birra prodotta da un privato e consumata dallo stesso produttore, dai suoi famigliari e dai suoi ospiti, a condizione che non formi oggetto di alcuna attività di vendita.
Quello che a volte crea dei problemi agli homebrewers italiani e soprattutto ai gestori dei locali è l’interpretazione della legge nel caso di assaggi di birra casalinga presso esercizi commerciali (per esempio durante i concorsi per homebrewers). In questo caso è chiaro che non c’è vendita, ma nell’ambito di un esercizio commerciale si sta somministrando al pubblico un prodotto alimentare di origine non certificata. Ho seguito diverse discussioni sul tema ma personalmente non ne sono venuto a capo (soprattutto per la mia ignoranza sui temi legislativi riguardanti la vendita e la produzione di prodotti alimentari). Quello che mi sembra di aver capito è che ci sia una certa tolleranza sul tema poiché nella birra non possono sopravvivere agenti patogeni per l’uomo grazie all’alcol, al grado di acidità e all’azione antisettica del luppolo. Detto ciò, in questo caso specifico, il contesto legislativo mi pare ancora piuttosto acerbo.
Siete al corrente di altre stranezze nel mondo sulla legislazione relativa alla produzione di birra in casa?
Autor: Francesco Antonelli
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